Lavoro muscolare? L’importanza di proteine e carboidrati

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Che carboidrati (e la dieta mediterranea) abbiano un ruolo fondamentale nell’alimentazione dello sportivo, professionista o dilettante, lo conferma anche Michelangelo Giampietro, nutrizionista e medico dello sport, più volte responsabile sanitario delle squadre nazionali di varie discipline sportive ai Giochi Olimpici:

Il fabbisogno di carboidrati aumenta proporzionalmente al crescere delle ore settimanali e all’intensità degli allenamenti. Per la popolazione generale è di 2-3 g per ogni chilo di peso corporeo, ma nel caso degli atleti triplica (6-10 g. per kg). Ed è ancora superiore (10-12 g per kg nei giorni precedenti alla gara) per maratoneti, nuotatori di fondo, triatleti o ciclisti.

In pieno svolgimento delle Paralimpiadi, fra approfondimenti e curiosità, ripercorriamo le tappe fondamentali della scienza alimentare legata allo sport e scopriamo l’importanza del ruolo di proteine e carboidrati nella dieta dei campioni.  

Proteine o carboidrati? Nel 1800 il primo approccio scientifico – Bisogna aspettare l’Ottocento per assistere ad un primo, vero approccio scientifico e razionale all’alimentazione applicata all’esercizio fisico. Nel 1842 il chimico Justus von Liebig scrive che “le proteine sono il principale substrato energetico per il lavoro muscolare”[i], gettando le basi per le future diete iperproteiche per gli sportivi. Nel 1866, i colleghi Max von Pettenkofer e Carl von Voit giungono ad una conclusione opposta, e cioè che glucidi e lipidi sono i principali substrati energetici per il lavoro muscolare[ii]. Una tesi ribadita, circa 60 anni dopo, dagli studi dei danesi Christensen e Hansen[iii] e che determinerà, a partire dagli anni ’70, la consacrazione dei carboidrati nella nutrizione sportiva.

La dieta del Marine – Nell’era delle Olimpiadi moderne, per quasi 80 anni, l’immagine tipica – che dettava legge nell’alimentazione per lo sport – era quella dell’americano vincente e muscoloso, una sorta di “marine degli stadi”. E la sua arma segreta era: più proteine nobili. Nel 1909 Jack London lascia la testimonianza più celebre di questa scuola di pensiero con il racconto “A piece of steak”: il dramma del vecchio pugile King che fa stancare il suo giovane avversario per poterlo abbattere, al momento opportuno, con l’ unico colpo che ha a disposizione, ma si scontra con il fatto che il suo sarà un colpo inefficace perché gli è mancato il nutrimento di una bella bistecca (non può più permettersela) prima dell’incontro.

Fino agli anni Settanta, anche in Italia, chiunque praticasse un po’ di attività fisica mangiava la stessa cosa: riso in bianco, bistecca e insalata. “Pazzesco – commenta Michelangelo Giampietro, nutrizionista e medico dello sport –. Soprattutto sapendo che per digerire una bistecca potrebbero essere necessarie anche 3-4 ore… praticamente il momento peggiore lo si viveva durante una gara, quando il sangue che doveva andare ai muscoli per sostenere il lavoro fisico, poteva ancora servire per completare la digestione.” La dittatura della bistecca non vacilla neanche di fronte a testimonianze opposte e eccellenti come il campione olimpico per antonomasia, quel Jesse Owens tornato da  Berlino ‘36 con 4 medaglie d’oro al collo, che prima delle gare mangiava solo pasta, fornitagli da un amico della Little Italy. O Paavo Nurmi, 12 medaglie olimpiche dal 1920 al 1928 nel mezzofondo e vegetariano ante litteram.

La rivincita dei carboidrati – L’abbattimento della “dittatura della bistecca” in favore del “governo dei carboidrati” avviene a metà degli anni Settanta, dopo le Olimpiadi di Monaco ‘72. Sono stati gli esperti di nutrizione italiani a ribellarsi, convinti della serietà dei vantaggi della dieta mediterranea, imperniata sui carboidrati… e dell’assurdità di rinunciare alla propria identità gastronomica senza motivo. A rafforzare queste convinzioni, la crociata pro-carboidrati che veniva dal Nord-Europa, dove gli specialisti della nutrizione di Finlandia e Svezia giungono a conclusioni analoghe, iniziando a dare enormi quantità di zuccheri agli atleti prima di gare di lunga durata. Si tratta dello schema Bersgtrom[iv], dal nome del medico degli atleti svedesi che lo ha ideato con l’obiettivo di aumentare al massimo la scorta di carboidrati nei muscoli prima di una gara di lunga durata. Dopo aver fatto allenare i campioni fino a esaurimento delle scorte di glicogeno (con allenamenti lunghi e intensi e una dieta povera di carboidrati), nei 3 giorni precedenti alla gara riduceva durata e intensità degli allenamenti e aumentava la quota di carboidrati nella dieta fino a valori estremamente alti (l’80% dell’intake calorico giornaliero). Contribuiscono a suscitare l’interesse verso questa rivoluzione alimentare i successi del mezzofondista Lasse Vìren, vincitore di quattro medaglie d’oro olimpiche a Monaco di Baviera 1972 e Montréal 1976 nei 5000 e nei 10000 metri piani.

La dieta della pasta: energia e gratificazione – Il problema dell’approccio scandinavo è che la fase di riduzione dei carboidrati espone l’atleta a rischi per la salute e per i suoi muscoli proprio nella fase di allenamento più intenso. Criticità superata dalla scuola italiana, che agli atleti fornisce pasta, un “carburante” a più lento assorbimento e a più facile digestione. Con il vantaggio, anche psicologico, di un regime tutto in positivo: piacevole, familiare, goloso, quasi un premio. L’opposto rispetto a una dieta privativa, che chiede un sacrificio in più oltre ai tanti che già deve affrontare chi pratica lo sport da agonista. La conferma della validità di questa teoria arriva dai risultati di azzurri come Pietro Mennea (leggendari i suoi piatti di pasta al forno pre-gara), Klaus Dibiasi e Paola Pigni, che suscitano l’interesse degli addetti ai lavori internazionali.

Come il pasta chef conquistò il Villaggio Olimpico – La svolta arriva nel 1976 ai Giochi di Montréal. Nel pieno della “rivoluzione della pasta”, un cuoco italiano viene per la prima volta ufficialmente accolto dalle cucine del pese ospitante. Un’eccezione incredibile alle abitudini del Villaggio Olimpico, tanto più che quel cuoco era lì solo per preparare la pasta. Un “valore aggiunto” riconosciuto fino ad allora solo alla bistecca.

Da allora la rincorsa è diventata un percorso in discesa: consigliati dai nutrizionisti, anche i grandi velocisti americani hanno cominciato a tradire la bistecca per gli spaghetti. E quindi è nata una tradizione, fino ad Atlanta ’96, quando il cuoco “pastasciuttaro” italiano è diventato istituzionale. E alle Olimpiadi invernali di Nagano ’98, accanto al cuoco italiano, c’è un cuoco giapponese a preparare spaghetti con sughi italiani tradizionali: vongole o amatriciana, aglio e olio e chi più ne ha, più ne metta.

Pasta amica dello sport: le conferme dalla comunità scientifica – La conferma che la pasta è indispensabile per chi pratica sport, anche a livello amatoriale, arriva con la Dichiarazione di Consenso Scientifico “Healthy Pasta Meals”, firmata da un comitato internazionale di 20 medici e scienziati della nutrizione e presentata in occasione del World Pasta Day 2015.  “il consumo di pasta – si legge nel documento –  è indicato per chi fa attività fisica e in particolare pratica sport. La pasta, come altri cereali, fornisce carboidrati ed è anche una fonte di proteine. Per avere una migliore prestazione fisica, può essere consumata scondita o con poco condimento prima di un allenamento oppure insieme ad altri cibi dopo aver praticato attività sportiva. Diete ad alto contenuto proteico e con pochi carboidrati sono sconsigliate per le persone attive.”

Ed è di questi giorni la pubblicazione sulla rivista Nutrition and Diabetes di uno studio italiano[v] che ha analizzato l’Indice di massa corporeo di 25mila persone, rivelando come il consumo regolare e moderato di pasta (in media circa 50 grammi di pasta al dì, o il 10% delle calorie giornaliere totali) non solo non farebbe ingrassare, ma renderebbe più in forma e più “magri” di chi, invece, ne limita i consumi.

Vi abbiamo incuriosito? Qui puoi leggere per intero l’approfondimento su Pasta e sport

 

 

 

 

[i] Von Liebig J. (1842) Animal Chemistry or Organic Chemistry in its Application to Physiology and Pathology Trans. Gregory W., Taylor and Walton, London)

[ii] Von Pettenkofer M. & Voit C. –  Betrachtung der 24 – stundigen Versuche bei Hunger and Mittlerer Kost mit Arbeit (1866) Z. Biol. 2: 537

[iii] Christensen E.H. and Hansen O.V.  Arbeitsfahigkeit und Ernahrung (1939 a) Skand. Arch. Physiol. 81: 160. Hypoglykamie, Arbeitsfahigkeit und Ermudung (1939 b) Skand. Arch. Physiol. 81:172

 Respiratoischer Quotient und O2 – Aufnahme (1936) Skand. Arch. Physiol. 81: 180

[iv] M. Giampietro, “L’alimentazione per l’esercizio fisico e lo sport”, Il pensiero Scientifico Editore, Roma 2005

[v] G. Pounis, A. Di Castelnuovo, S. Costanzo, M. Persichillo, M. Bonaccio, A. Bonanni, C. Cerletti, M.B. Donati, G. de Gaetano and L. Iacoviello on behalf of the Moli-sani and INHES investigators “Association of pasta consumption with body mass index and waist-to-hip ratio: results from Moli-sani and INHES studies”, Nutrition & Diabetes (2016) 6, e218; doi:10.1038/nutd.2016.20