Fatti e misfatti della cottura. Dal quick cooking alla pentola a pressione

Qualità vuol dire anche maggiore resistenza del prodotto agli inevitabili “maltrattamenti” in fase di cottura: portare un buon piatto di pasta in tavola, a qualsiasi latitudine, è anche un’operazione culturale. Lo hanno capito bene i pastai italiani. Il loro sforzo, infatti, è anche culturale e orientato all’educazione al corretto uso del prodotto con consigli e ricette riportati sulla confezione accanto al canonico tempo di cottura.

Negli Usa, per esempio, il condimento è ancora eccessivo rispetto alla quantità di pasta utilizzata e le porzioni sforano abbondantemente i canonici 70-80 grammi. Risultato: il sapore del grano viene “soffocato” dalla salsa. E sarà difficile finire il piatto… Lo conferma Riccardo Felicetti, CEO del Pastificio Felicetti: “La mia esperienza della pasta in America? Saranno finiti i tempi della pasta with meatballs, ma nei ristoranti americani trovo spesso porzioni mostruose, anche da 200 grammi, come se il mangiare italiano significasse solamente quantità e opulenza. Si perde del tutto la valorizzazione della qualità di prodotti e ingredienti utilizzati. E poi aglio dappertutto, anche in piatti di pasta che non ne prevederebbero l’utilizzo. Discorso opposto in Giappone, dove ho assaggiato uno dei migliori piatti di pasta della mia vita. L’esperienza e la mentalità giapponese rispetta molto più le tradizioni, interpretandole senza stravolgerle. Non a caso, in questo mercato sono molto richiesti i formati premium”.

Certi rituali italiani, invece, non riescono proprio ad essere esportati, come controllare la pasta in cottura, mescolando e assaggiando di tanto in tanto in attesa del momento giusto. Soprattutto nel Nord e centro dell’Europa, dove la pasta è contorno più che primo piatto o piatto unico e il tempo di cottura è giudicato eccessivo. Per rispondere a questa richiesta i pastai italiani hanno ideato la pasta a rapida cottura, pronta dopo soli 4 minuti nell’acqua bollente. Non è una pasta precotta, ma è ottenuta con particolari tecniche di lavorazione: è più ricca d’acqua rispetto alla pasta comune e quindi, a parità di peso, fornisce anche meno calorie.

A proposito di cottura, è uno stile tutto italiano quello che vuole la pasta “al dente”, con l’amido al centro ancora intatto e non del tutto gelatinizzato. Ma è uno stile che si diffonde insieme alla pasta, anche se all’estero il rischio di vedersi portare un piatto di pasta iperscotta o abbandonata nell’acqua di cottura per diversi minuti è sempre dietro l’angolo. È per questo, verosimilmente, che da qualche anno negli Usa è stato brevettato un “perfect pasta Timer”, che galleggia assieme alla pasta all’interno della pentola e cambia colore in base alla temperatura dell’acqua, consentendo di capire quando la pasta è pronta per essere servita. Sempre in America – a partire da uno storico articolo del New York Times nel 2009 – si va affermando la tendenza a utilizzare sempre meno acqua per cuocere la pasta, anche mezzo litro per 100 grammi di spaghetti. E hanno preso piede le cotture (o le rifiniture di cottura) “a risotto”, direttamente in padella, nel sugo. O addirittura in pentola a pressione, come proposto da Michelle Obama sul Time: un metodo di cottura innovativo, amico della linea (niente grassi e 1/8 del sale normalmente utilizzato per la cottura) e dell’ambiente (meno acqua e gas dei fornelli).

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