Carbophobia, un neologismo made in USA

Gli italiani non le amano ma complici mode alimentari e sostenitori famosi si sente spesso parlare di diete low carb e ciclicamente di carbophobia, la fobia dei carboidrati. Ma cos’è la carbophobia e come nasce? Ecco cosa abbiamo scoperto!

Carbo… che? – Il neologismo carbophobia sta a indicare la vera e propria isteria collettiva degli americani nei confronti dei carboidrati, nato in contrapposizione alla lipophobia degli anni ’90. Il termine è stato coniato dal New York Times nel 2002, in una storia di copertina   dedicata al fenomeno delle diete low carb. Va sottolineato che da sempre gli americani hanno un rapporto di amore e odio con la propria alimentazione. Demonizzando, di decennio in decennio (e poi rivalutando a cicli di circa 10 anni) ogni tipo di nutriente. Prima è venuta la stagione del no ai grassi, la cosiddetta lipophobia – demonizzati, all’insegna del low fat negli anni Settanta e Ottanta – alla quale è seguita, perfetto contraltare, dagli anni Novanta a oggi, la demonizzazione di pane, pasta e carboidrati in genere. Con parallela riabilitazione (vedi copertina recente di Time) addirittura del burro e dei grassi saturi… Diete che fanno riferimento alle teorie di personaggi, spesso eccentrici e capaci di catalizzare paure, ansie e aspirazioni di un popolo estremo in molte delle proprie manifestazioni, hanno messo a “stecchetto” gli americani: Atkins, Zona e Scardsale. Per citare solo le 3 più celebri. Diverse fra loro, accomunate però dal no, rigido, ai carboidrati. Nell’illusione che eliminando pane e pasta si potesse, per magia, trasformare l’America in una nazione di persone longeve e normopeso.

Un fraintendimento collettivo – La tesi ricorrente è sempre stata la stessa: l’America continua a ingrassare nonostante sia cresciuto (circa il 15%) il ricorso ai carboidrati, consigliato nelle varie linee guida che il Governo ha rilasciato negli anni, sulla base del principio della Piramide alimentare, e diminuisca la percentuale di grassi della dieta quotidiana (dal 40% al 34%). Si è trattato però di un fraintendimento collettivo. L’America negli ultimi 2 o 3 decenni è diventata una nazione con percentuali crescenti di persone sovrappeso e obese perché ha visto aumentare (anche del +50-60%) l’introito totale di calorie e ha visto quasi azzerarsi la tendenza a fare moto e a dedicarsi allo sport. Se si mangia troppo, le percentuali di ripartizione fra i macronutrienti diventano ininfluenti. Il troppo è troppo e le calorie, in un certo senso, sono tutte uguali. Il problema di fondo è che le porzioni sono cresciute a dismisura, i condimenti sono diventati sempre più ricchi. In questo contesto demonizzare un alimento oppure un altro (dovendoli per forza di cose alternare, per essere credibili) è diventato una sorta di alibi collettivo per non prendere coscienza di una verità molto più semplice. Per dimagrire bisogna mangiare di meno: un po’ tutto, ma in porzioni più piccole.

Per saperne di più leggi qui il parere degli esperti sul ruolo di pasta e carboidrati nella dieta.